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domenica 12 dicembre 2010

IL MANTRA DEL LEADER ELETTO DAL POPOLO

Si ripete in continuazione il mantra ossessivo del leader eletto dal popolo, argomentando dal fatto che il nome “Berlusconi” figurava nel logo della coalizione vincente alle elezioni del 2008. L’assunto che ne consegue, da parte dei partiti al governo, è che Silvio Berlusconi è l’unico soggetto legittimato alla guida dell’esecutivo, per cui qualsiasi altro governo che non fosse da lui presieduto sarebbe un tradimento della volontà popolare e un grave strappo alla democrazia.
Si tratta di un chiara applicazione di quella tecnica mistificatoria che Irving Lee ha definito “la menzogna organizzata”, e davvero sorprende che nessuno (o quasi) vada a denunciare il trucco fin troppo scoperto.
Premesso che non è affatto vero che nelle elezioni del 2008 Berlusconi abbia ottenuto il consenso della maggioranza degli italiani, ciò che solitamente si proclama come verità assoluta e incontestabile (di fatto al PDL è andato il 37,4 per cento dei voti e complessivamente il 46,8 per cento alla coalizione di centrodestra, a fronte del 53,2 per cento totalizzato dall’insieme delle liste  di opposizione, per cui la larga maggioranza di cui Berlusconi finora beneficiato in parlamento è semplicemente il frutto della legge elettorale “porcata”), va obiettivamente puntualizzato che il chiaro disposto della L. 21.12.2005 n.270 non consente l’interpretazione forzata del voto popolare sostenuta capziosamente dal centrodestra. L’articolo 52 di quella legge prevede infatti testualmente che “i partiti e i gruppi politici” eventualmente collegati fra loro in coalizione, con il deposito del loro programma elettorale “dichiarano il nome e il cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica o della coalizione”, precisando peraltro che “restano salve le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall’articolo 92, secondo comma, della Costituzione”.
Il deposito del nome collegato al programma elettorale non ha quindi altro scopo che l’indicazione del capo del partito o della coalizione, con preclusione di ogni altro effetto, in particolare quello di una designazione anticipata del futuro capo del governo, in conseguenza dell’espresso richiamo operato dalla legge alle prerogative del Presidente della Repubblica e alla norma costituzionale che le prevede.
Viene così ad essere riaffermato dalla stessa legge elettorale vigente il dato incontrovertibile del nostro ordinamento, avvalorato da una pluridecennale prassi costituzionale, che vede il ruolo di capo del governo, quale viene a determinarsi attraverso accordi definiti in sede parlamentare e quindi sottoposti al presidente della Repubblica in vista della sua decisione, come nettamente distinto e del tutto indipendente dalla leadership del partito o della coalizione vincente in esito alle elezioni.
Ben raramente infatti, nella nostra storia repubblicana, la direzione del governo risulta essere stata affidata al leader del partito o della coalizione di maggioranza. Ricordiamo che dal 1947, durante i governi De Gasperi, alla guida della DC si avvicendarono Attilio Piccioni e Giuseppe Cappi. Nei successivi decenni si affermò la regola consolidata per cui la presidenza del consiglio dei ministri veniva sistematicamente considerata alternativa alla leadership del partito di maggioranza. Nei governi cosiddetti di coalizione si verificò più volte che al vertice dell’esecutivo andassero personalità di partiti diversi da quello di maggioranza. Un caso particolare fu quello di Giovanni Goria, figura non di primissimo piano nel suo stesso partito, chiamato alla guida del governo nel 1987. Nei tempi più recenti, fra il 1998 e il 2001 si succedono a Palazzo Chigi le presidenze di D’Alema e Amato benché nel logo della coalizione di maggioranza fosse stato indicato il nome di Prodi. E a riprova di una prassi ininterrotta, nel 2008, dopo la caduta del governo Prodi, il presidente della Repubblica, prima di disporre lo scioglimento anticipato delle Camere, affida al senatore Marini un mandato esplorativo circa la possibilità di costituire un nuovo governo a termine per la modifica della legge elettorale.  
Ne consegue l’assoluta infondatezza, sul piano costituzionale e alla luce della consolidata esperienza democratica del nostro Paese, la pretesa che in caso di caduta dell’attuale governo non sia consentito esperire un tentativo volto alla formazione di un nuovo governo, sostenuto eventualmente anche da una nuova maggioranza, risultando inevitabile lo scioglimento delle Camere con immediato ricorso a nuove elezioni.
Per altro verso, la possibilità di un cambio di maggioranza in corso di legislatura è implicita nel disposto dell’art. 67 della Costituzione per cui “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”: ciò significa che il parlamentare è  libero di (nonché tenuto a) orientare le sue decisioni e le sue scelte in base a ciò che di volta in volta egli ritiene nell’interesse dei cittadini e non già in ottemperanza ad un vincolo di partito o in ragione dell’ appartenenza, definita una volta per tutte, a un determinato schieramento. E questo non costituisce una particolarità italiana ma è invece un principio base della democrazia parlamentare.  
In conclusione, la legge elettorale che prevede l’indicazione del nome del capo del partito o della coalizione nel logo che a questi si riferisce non intende né potrebbe modificare la Costituzione e le sue regole di base. Vero è che i proponenti della legge avevano posto nel progetto originario una formula per cui l’indicazione del nome nel logo veniva ad assumere il significato di una designazione a candidato premier, ma quel tentativo era dovuto rientrare per il fermo richiamo al rispetto dei principi costituzionali da parte del presidente Ciampi. Occorre ora opporsi con forza a quelli che cercano di far rientrare surrettiziamente dalla finestra ciò che non sono riusciti a far passare dalla porta.
Ugo Genesio
 

lunedì 6 dicembre 2010

CONSIDERAZIONI... TELEVISIVE

Ci sono problemi nelle trasmissioni Tv causa il digitale ed altro. Io non sono fruitore della Tv se non in casi di documentari o eventi eccezionali... Riporto uno scritto di P. P. Pasolini del 30 gennaio 1975 pubblicato sul "Corriere della Sera" e che personalmente condivido : "Quanto alla televisione, la mia proposta radicale
è questa: bisogna rendere la televisione partitica e cioè, culturalmente, pluralistica. E' l'unico modo perché essa perda il suo orrendo valore carismatico, la sua intollerabilile ufficialità. Inoltre, i partiti - come è ben noto - si sbranano all'interno della televisione, dietro le quinte, dividendosi (finora abiettamente) il potere televisivo. Si tratterebbe dunque di codificare e di portare alla luce del sole questa situazione di fatto: rendendola così democratica. Ogni partito dovrebbe avere diritto alle sue trasmissioni in modo che ogni spettatore sarebbe chiamato a criticare ed a scegliere, cioè ad essere coautore, anziché essere un tapino, che vede ed ascolta, tanto più represso quanto più adulato. Ogni partito dovrebbe avere il diritto di avere il proprio telegiornale... perché lo spettatore possa scegliere le notizie e confrontarle con le altre, cessando quindi di subirle...". 

Proprio oggi vi è stata una dimostrazione di quanto sia "allusiva" la TV. Il TG2 delle 13: "Ricorre oggil'anniversario della morte di 12 PERSONE alla ThissenKrupp di Torino"... Uno sprovveduto si chiede se erano PERSONE che passavano accanto a questa fantomatica ThissenKrupp e sono state investite
dal crollo delle mura come a Pompei... o se erano, come erano, OPERAi che lavoravano ai forni all'interno della fabbrica... Se vogliamo parlare di Televisione e dei suoi influssi diretti ed indiretti sulle nostre menti e convinzioni...  parliamone qui, anche. Grazie.
Alfredo Schiavi

sabato 6 novembre 2010

IMMUNITA' PARLAMENTARE E AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE

  

Affermazione diffusa nell’attuale dibattito politico è quella secondo cui la nostra Costituzione, nel suo testo originario, aveva attribuito ai membri del Parlamento un’immunità dalla giurisdizione penale, garanzia venuta meno con la revisione del testo costituzionale nel 1993, sotto la pressione di tangentopoli, con l’effetto di alterare a vantaggio del potere giudiziario l’equilibrio a suo tempo stabilito dai costituenti: donde l’esigenza di tornare al disegno originario attraverso il ripristino dell’istituto dell’immunità parlamentare per il corretto funzionamento del nostro sistema politico nello spirito della Costituzione.
       Conviene chiarire che tale affermazione, recepita purtroppo acriticamente da gran parte dell’opinione pubblica, è del tutto infondata basandosi su una non corretta rappresentazione della norma costituzionale. Sta di fatto che la cosiddetta immunità parlamentare, intesa come un’esenzione dei membri del Parlamento dalla giurisdizione penale nel corso del loro mandato, non è mai esistita nel nostro ordinamento costituzionale.
       L’art.68 della Costituzione nel suo testo originario stabiliva che i parlamentari non potessero essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni: e questa norma fondamentale di garanzia non è stata toccata e neppure mai messa in discussione. Quanto alla generica responsabilità penale, invece, si prevedeva che “senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale”: quindi solo l’esigenza di un’autorizzazione a procedere, che certo è cosa ben diversa dall’immunità penale. E questa norma è venuta a cadere nel 1993, restando ferma peraltro la necessità dell’autorizzazione per l’arresto e le perquisizioni personali o domiciliari nei confronti di parlamentari (salva la flagranza per reati di particolare gravità). 
      La revisione della norma costituzionale sull’autorizzazione a procedere si rese inevitabile sotto la pressione dell’opinione pubblica in conseguenza del generalizzato e universalmente riconosciuto abuso di tale strumento di garanzia da parte delle Camere con il rifiuto sistematico dell’autorizzazione anche in casi di particolare gravità, senza alcuna seria verifica della concreta sussistenza di un ‘fumus persecutionis’: sì che di fatto la garanzia procedimentale si era venuta trasformando nella prassi parlamentare in una inammissibile forma di immunità, contrastante con la dichiarata intenzione dei costituenti e con lo specifico dettato costituzionale.
      Esemplare fu la vicenda INGIC, che vedeva coinvolti assieme esponenti dei partiti di maggioranza e di opposizione, per cui l’autorizzazione a procedere fu negata in base ad argomentazioni smaccatamente pretestuose (“…gli uomini politici non chiesero, ma furono richiesti dai dirigenti dell’INGIC di accettare delle sovvenzioni per i loro partiti … essendo altresì pacifico che tutti gli uomini politici imputati – nessuno escluso – non profittarono personalmente di alcuna delle somme ricevute, che furono da essi versate ai rispettivi partiti o per spese elettorali, o per beneficenza o per opere assistenziali ” – Relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere presentata alla Camera il 9 ottobre 1961).
       L’esigenza di modifica dell’istituto, a lungo rinviata sul tacito accordo di tutte le parti politiche, si prospettò con tanta maggior forza dietro la spinta dei fatti di tangentopoli e portò alla riforma attuata con la legge costituzionale del 1993. Tale legge fu approvata dal Parlamento quasi all’unanimità (con due soli voti contrari), essendosi finalmente riconosciuto da tutti i partiti l’abuso sistematico della norma di garanzia perpetrato attraverso i decenni. In particolare il MSI e la Lega se ne fecero i sostenitori più decisi,  insistendo anzi per la totale eliminazione dell’istituto, anche con riferimento all’arresto e alle perquisizioni.
       Le ragioni che motivarono allora la decisione del Parlamento appaiono tuttora valide, specie nell’attuale momento politico caratterizzato da forti contrapposizioni con maggioranze parlamentari “militarizzate” potenzialmente disponibili,  all’occorrenza, anche per decisioni discriminatorie. E comunque, l’ipotizzato ripristino della autorizzazione a procedere come strumento atto a meglio equilibrare il rapporto fra potere politico e potere giudiziario implicherebbe un ulteriore ricorso alla procedura di revisione costituzionale e sarebbe da inserire in un quadro complessivo di riforme istituzionali con il consenso parlamentare più ampio, tale da consentire il raggiungimento della maggioranza di due terzi necessaria per evitare quel referendum che, secondo l’attuale orientamento dell’opinione pubblica, darebbe un esito presumibilmente negativo.
       Peraltro, per rispettare la lettera e lo spirito della Costituzione nella linea dei padri costituenti, l’istituto dell’autorizzazione a procedere potrebbe essere utilmente recuperato solo con l’introduzione di correttivi atti ad evitare il ripetersi degli abusi del passato. La previsione di un possibile ricorso alla Corte costituzionale da parte della magistratura richiedente contro l’immotivato rifiuto opposto alla richiesta di autorizzazione, nella forma del conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, potrebbe essere un correttivo valido.
Ugo Genesio
                                                                     
                                                                                     

martedì 2 novembre 2010

AMA L'AMBIENTE

momento politico

Evoluzione della politica

Viviamo certamente un momento politico estremamente delicato,  ed anche sotto certi aspetti pericoloso per i colpi di coda che possono venire dal caimano (mi scusino i caimani veri per l’accostamento negativo) e suo branco, ma per contro pieno di novità potenzialmente positive che sta però a noi accompagnare con molta prudente razionalità ma senza tentennamenti sul percorso giusto.
Non voglio perdere tempo ad analizzare lo stato del nostro Paese nel suo decadimento culturale, etico, economico e soprattutto impregnato di uno scetticismo morale a mio avviso mai raggiunto prima, il tutto a causa del berlusconismo imperante che ha colpito tutti i gangli della società, in particolare accentuando uno sciocco egoismo di coloro che non si rendono conto che anche chi si ritiene  sano se immerso in un  corpo ammalato si contamina inevitabilmente.
Ma qual è la novità.
E’ l’esasperazione progressiva delle persone di quasi tutte le classi sociali ed economiche e delle più diverse e spesso antagonistiche convinzioni politiche, che  nelle loro componenti più razionali  si rendono conto di trovarsi in una situazione insostenibile e che quindi stanno, anche se lentamente ribellandosi e reagendo.
Si escludano naturalmente coloro che esercitano oggi un potere omogeneo alla filosofia bersusconiana, ergo i furbi spregiudicati che tenteranno di tutto per mantenerlo nonché e quella massa di sottoproletariato sempre in vendita al migliore offerente,  “francia o spagna purchè se magna” . 
            Novità molto difficile da utilizzare ma comunque reale.
A questo punto dobbiamo darci veramente un compito molto preciso e prioritario dal quale non deviare, quello di avviare con molta tenacia una serie di azioni “ di demolizione e ricostruzione” della nostra società nazionale a prova di “furbi”  e ciò si può ottenere solo costruendo “ nuove” regole moderne che abbiano si dei precisi obbiettivi eticamente congruenti con i bisogni reali dei cittadini ma che non riportino in auge meccanismi stantii e superati dall’evoluzione mondiale.
            Moltissimi degli obbiettivi  “ demagogicamente cavalcati solo a suon di proclami dal berlusconismo, sono condivisibili ma devono diventare risultati seri, efficienti, efficaci ed  economicamente validi , condotti da persone capaci ed oneste  si da poter essere proficuamente utilizzati da tutti gli  italiani.
            Ciò si potrà ottenere solamente mettendo da parte i criteri partitocratrici di appartenenza e sostituendoli con criteri veramente politici condivisi di meritocrazia e indiscutibile competenza .
            Per almeno i prossimi 10 anni in questo Bel Paese , per salvarlo, si dovrà parlare tutti assieme un linguaggio comune , al di sopra delle definizioni stantie di destra, sinistra, centro ecc. per spianare  la strada del progresso con un coraggioso comportamento di ferma e puntuale responsabilità legislativa e gestionale , comunque e sempre correttamente democratica.
Per tutti
            Silver Leonardo

giovedì 21 ottobre 2010

Mia riflessione su una mancata risposta a Castelli: disinteresse o incapacità di argomentare?

Mia riflessione su una mancata risposta a Castelli: disinteresse o incapacità di argomentare?
Dopo che il premier è tornato sulla materia delle intercettazioni, che sembrava per il momento accantonata, rientra in ballo anche la legge sul processo breve. Stamattina ad “Omnibus” su “La 7”, in risposta all’europarlamentare Fava che aveva citato la previsione del procuratore di Napoli per cui quella legge farebbe saltare circa 80.000 processi solamente in quella sede, l’ex-ministro Castelli ha pesantemente ironizzato osservando che già oggi con la legge vigente vanno in prescrizione ogni anno in Italia ben 200.000 processi e chiedendo provocatoriamente e ripetendo più volte la domanda in tono di presa in giro: “Come mai questo fatto, come mai la prescrizione attuale sta bene alla sinistra?”
Ovvia e doverosa sarebbe stata la risposta. Primo, i casi di prescrizione dei reati si sono moltiplicati negli ultimi anni per effetto della riduzione dei termini prescrittivi attuata con la devastante legge ex-Cirielli (lo stesso presentatore, vergognandosene, ne ha disconosciuto la paternità), fortemente voluta dal centrodestra e fortemente contrastata dal centrosinistra. Secondo, se già oggi la prescrizione raggiunge livelli così elevati e preoccupanti, l’impegno comune dovrebbe essere per limitarla il più possibile e non invece per estenderla ancora, come di fatto si tende a fare con le norme-capestro del cosiddetto processo breve. La domanda avrebbe quindi dovuto essere ribaltata: come mai al centrodestra sta così bene l’impunità assicurata ai colpevoli  con il taglio dei processi in corso e, cosa ancora più grave, di quelli futuri di maggiore complessità e prevedibile durata, dopo l’abbreviamento già realizzato dei termini di prescrizione, in danno delle vittime dei reati e a rischio della sicurezza della generalità dei cittadini ?
Ma la subdola domanda retorica di Castelli è rimasta senza risposta. L’onorevole Penati che ha avuto subito dopo la parola è passato ad altro, precisamente all’esito negativo dell’incontro di ieri del premier con le parti sociali circa la possibilità di riduzione del carico fiscale.
Ugo Genesio

mercoledì 20 ottobre 2010

Sanremo come il Bronx





Dopo parecchio silenzio scrivo in merito ad una situazione che nessuno può immaginare; è vero che i problemi d sanremo sono molteplici dalla viabilità, dalle strade distrutte dal passaggio dei camion, dai posteggi a pagamento, alla sicurezza.
Riguardo proprio alla sicurezza diciamo sempre che a fare borseggi, atti vandalici, spaccio d droga sono gli extracomunitari ma in merito a ciò dopo un fatto increscioso che mi ha colpito da vicino posso dire che c’è più da temere dagli spacciatori italiani e tossici che dagli altri..
Soprattutto se, disgraziatamente, te li ritrovi come vicini e solo per poter aver un po’ di decoro, per il quieto vivere in una palazzina un bel pomeriggio d’estate ti ritrovi in ospedale con dito della mano rotto, trauma cranico, naso sanguinante e vari lividi in tutto il corpo.

Proprio così: è successo a mio marito nella periferia di Sanremo, Strada Borgo Tinasso, zona case popolari dove ormai d queste belle persone si è pieni all’inverosimile e tu sebbene chiede un po’ di tutela alle forze dell’ordine non hai nè il riscontro e nè la sicurezza d cui dotresti aver bisogno…

Non potendo denunciare codeste persone perché minacciati di morte (ed essendo già ben conosciute da tutti i corpi) mi chiedo esplicitamente se questa invece di essere Sanremo non sia il Bronx, oppure la città ormai solo dei delinquenti e della malavita che si spalleggia ai potenti.
Tutto questo per me a 34 anni è lo schifo più totale e la voglia di andarmene da questa città è sempre maggiore. 
Dicevano tanto di Borea ma non m sembra che “Zorro” abbia portato tanta miglioria anzi ho saputo che Ventimiglia è diventata più tranquilla d qua….”pensate”  
Pensiamo solo “a bere, a cartelli con seni di fuori, al casinò” tanto dei problemi veri della città se ne interessano in pochi.
Perché “quasi tutti” sono solo attaccati alla poltrona e basta!!!!
Alle persone che leggeranno questo pezzo chiedo se hanno qualche idea da poter discutere insieme affinché si possa fare qualcosa insieme ai consiglieri di minoranza del PD e affinché Sanremo torni la Regina della Riviera: come ha detto mesi fa Pippo Baudo, Regina lo era una volta ed ora non ha neanche più la corona
Ale P.

sabato 2 ottobre 2010

SISTEMA COSTITUZIONALE E GOVERNO “ELETTO”

Vi propongo una riflessione su una questione di attualità che non mi pare sufficientemente approfondita dai partiti di opposizione

        Il messaggio forse più efficace di cui si è giovato Silvio Berlusconi per riuscire ad imporsi sulla scena politica italiana e ad affermarvi la sua ‘leadership’ è quello enunciato dallo slogan declamato ad oltranza per cui la scelta del partito o della coalizione di partiti designati a governare, e quindi anche la scelta del capo del governo, è rimessa alla volontà del popolo quale si manifesta attraverso l’espressione del voto è non può essere invece il risultato di intese e confluenze successive fra le forze politiche rappresentate in parlamento. Gli elettori devono sapere ‘prima’ come si muoveranno i partiti ‘dopo’ il voto e chi, in esito al voto, sarà chiamato a guidare il governo. La conseguenza implicita di questa impostazione è la doverosa immutabilità delle posizioni delle diverse forze politiche e del rapporto fra maggioranza e opposizione per tutto il corso della legislatura, per modo che ogni eventuale variazione di tali posizioni e di tale rapporto si configurerebbe come un tradimento della volontà degli elettori e comporterebbe inevitabilmente l’immediato ritorno alle urne.
       Ulteriore argomento a sostegno di questa tesi è l’enfatizzata esigenza della cosiddetta governabilità per cui si giustificherebbe   avvalorandola anche la legge elettorale vigente che assegna al partito o alla coalizione vincente, pur con scarso margine, un cospicuo e determinante ‘premio di maggioranza’. Peraltro, quanto poco questa legge sia producente ai fini di un tale obiettivo è dimostrato dalle vicende delle due legislature per cui essa ha trovato applicazione: quella iniziata nel 2006 e dissoltasi dopo meno di due anni e quella in corso, secondo ogni ragionevole previsione destinata a chiudersi in tempi brevi.    
      Va detto subito che il messaggio che Berlusconi ha cercato di  imporre all’opinione pubblica ottenendo che questo sia stato talora inconsapevolmente recepito anche dalla parte meno avvertita del fronte avversario, contrasta con l’impianto generale della nostra Costituzione e con il suo preciso dettato, in particolare sui poteri del parlamento e del capo dello Stato e sull’assenza di vincolo di mandato per i parlamentari eletti. La distinzione che si è tentato pretestuosamente di avallare fra una costituzione formale e una costituzione materiale o di fatto non ha senso sul piano giuridico.
       Ma va altresì chiarito una volta per tutte che l’assunto berlusconiano contrasta anche con ogni forma di moderna democrazia, quale si caratterizza idealmente e inevitabilmente    come indiretta e rappresentativa. Facciamo degli esempi.
       In Gran Bretagna è del tutto normale che dopo il voto, in base al risultato delle elezioni, partiti che si erano presentati contrapposti si accordino per formare il governo designando il primo ministro. L’esempio recente è quello del gruppo liberale guidato da Peter Clegg, alleatosi con i conservatori di Cameron dopo l’esito negativo del negoziato inizialmente intrapreso con i laburisti. Altrettanto normale risulta il cambiamento del premier in corso di legislatura: è avvenuto con John Major subentrato alla Thatcher e poi con Gordon Brown subentrato a Blair.  
       In Germania la situazione è ancora più evidente. I partiti si confrontano dopo il voto per formare la maggioranza chiamata ad esprimere il nuovo governo e a tal fine ora i liberali ora i verdi risultano determinanti in un senso o nell’altro. Addirittura si verifica che i due maggiori partiti contrapposti alle elezioni si accordino dopo il voto per governare assieme: è avvenuto con il governo di Willy Brandt nel 1966 e con quello attuale di Angela Merkel. Frequenti anche i cambi in corsa del primo ministro (come da Brandt a Schmidt e da questi a Kohl).
        In altri paesi, come in Francia e negli Stati Uniti, può anche accadere che la volontà popolare si manifesti in modo opposto nelle elezioni presidenziali e in quelle parlamentari. In Francia si può così determinare una situazione di “coabitazione” fra presidente e primo ministro appartenenti a partiti avversari: a chi di essi andrebbe riferita in tal caso la volontà popolare? La ‘governabilità’ non sembrerebbe costituire una preoccupazione prioritaria per i francesi. Rilevanti in Francia sono poi le alleanze variabili che inevitabilmente si producono dopo il primo turno di votazioni in vista del  successivo voto di ballottaggio.   
      Quanto agli Stati Uniti, risulta pratica abituale e consolidata che il presidente si trovi a dover negoziare con i diversi gruppi al congresso e al senato, e spesso anche con singoli parlamentari del proprio o dell’opposto schieramento, l’appoggio per ciascun   progetto o provvedimento legislativo di maggiore rilievo da lui promosso, poiché ogni membro del parlamento rivendica il diritto-dovere di muoversi in piena indipendenza, senza vincolo di mandato e senza riguardo ad eventuali posizioni dichiarate del partito per cui è stato eletto, sì che le decisioni finali vengono a dipendere da intese e convergenze intervenute nella sede parlamentare. Sono ben note le difficoltà incontrate dall’attuale presidente Obama per ottenere l’approvazione, anche a prezzo di sostanziali modifiche, di quella riforma sanitaria su cui aveva fortemente basato il suo programma elettorale. Ma ciò viene considerato un aspetto fisiologico della democrazia basata sul principio di divisione dei poteri e nessuno formula per questo denunzie di ‘inciuci’ o tradimenti.
        In sostanza, in nessun sistema democratico il principio che il parlamento e ogni singolo membro di esso, una volta eletto, possa muoversi in piena libertà e indipendenza dall’esecutivo, ricercando le maggioranze possibili ed eventualmente anche diversificate in base alle diverse questioni e alle varie circostanze che si vengono a determinare nel corso della legislatura, viene oggi messo in discussione. Tanto meno, quindi, l’applicazione di tale principio dovrebbe fare scandalo in un paese che, come il nostro, intende porsi ai primi posti fra le democrazie occidentali.
Ugo Genesio

martedì 28 settembre 2010

"Ve l'avevo detto!" non è consolante

Allego una mia breve nota in cui, all'indomani della costituzione ufficiale del PD, raccomandavo che fosse assolutamente evitato, per la formazione degli organi del nuovo partito, un sistema di liste, che a mio avviso si sarebbe inevitabilmente trasformato in un sistema di correnti. Quella nota, indirizzata agli organi direttivi provvisori del partito ed ai componenti locali della cosiddetta assemblea costituente nazionale, non meritò alcuna risposta e di fatto la mia posizione risultò completamente ignorata poichè, come è noto, gli "specialisti" nominati nella commissione per il progetto di statuto e poi il 'plenum' assembleare si orientarono nel senso opposto. ...Vox clamantis in deserto!

Al punto cui siamo arrivati oggi, ciascuno può fare la sua riflessione.

Un lettore

No alle liste!!!

Il pregiudizio massimo e devastante, ma purtroppo del tutto realistico, per il nuovo partito sarebbe la formazione di correnti secondo lo schema nefasto invalso nel nostro sistema politico: ex-diessini contro ex-margheritini; dalemiani fassiniani veltroniani parisiani rutelliani mariniani lettiani; oppure cattolici e laicisti, e così via. Tale schema si alimenta di un meccanismo tecnico preordinato “ad hoc“: le liste.

Lo statuto della Margherita istituzionalizzava addirittura le correnti ponendo le liste alla base del sistema di elezione degli organi direttivi a tutti i livelli, per cui si prevedeva necessariamente una maggioranza e una minoranza con quote percentuali prestabilite. Le recenti primarie hanno portato la novità delle liste "bloccate" (invenzione della legge elettorale di Berlusconi, subito copiata).

Le liste sarebbero il principio della fine per il nuovo PD. Occorre impegnarsi perché gli statuti in via di elaborazione prevedano a tutti i livelli un sistema di candidature individuali appoggiate da un certo numero di iscritti (3-5-10), su cui tutti gli iscritti siano chiamati ad esprimere la loro preferenza. Solo in questo modo si potranno selezionare dei quadri direttivi che rappresentino il meglio del partito per capacità, integrità ed autorevolezza. Solo così potrà realizzarsi una vera democrazia interna secondo il principio "una testa un voto". Certo poi, nell'ambito degli organi collegiali, si stabiliranno delle convergenze e si evidenzieranno delle divergenze, ma ciò avverrà sulle singole questioni e non secondo una disciplina precostituita. La formazione nel futuro PD di gruppi organizzati con carattere permanente deve essere percepita e contrastata come contraria allo spirito del nuovo partito, come un attentato ai suoi principi ispiratori di libertà e democrazia interna, di apertura e di partecipazione.

lunedì 20 settembre 2010

Il leghista e l'inno di Mameli...ohibò!

Tento sempre di stendere un velo pietoso sulla stupidità dominante alla quale in questa società poggiante nell' " aria fritta" di tantissimi imbonitori per ora dobbiamo rassegnarci, ma faccio parecchia fatica specie in certi momenti paradossali. Ieri assistevo commosso ed entusiasta alle esibizioni delle frecce tricolori quando mi sono alzato nel momento in cui l'altoparlante ha intonato l'inno di Mameli (non mi piace molto ma è sempre l'inno della mia Patria) ed ho visto attorno a me molta gente in piedi con la mano sul cuore che come me lo cantava. Poi mi sono venute le gambe molli vedendo una persona che sò essere un impegnato leghista che impettito la cantava anche lui!
E' il miracolo delle Freccie o il trionfo dell'ipocrisia anche verso se stessi? Povera Italia  

giovedì 22 luglio 2010

Vicini ai cittadini per migliorare la qualità della vita

Riflessioni di un "matusa" con l'ausilio di una delle diavolerie moderne allo scopo di stimolare l'avvio concreto di una attività per migliorare la qualità della vita nella nostra città e far sentire il nostro partito vicino ai bisogni dei concittadini.

Secondo me il Circolo di Sanremo dovrebbe organizzarsi per "scoprire" quello che non va bene nei vari quartieri "utilizzando" l'occhio di coloro che ci seguono: iscritti o simpatizzanti.

Le segnalazioni dovrebbero essere esaminate da una equipe di volonterosi per preparare opportuni interventi presso gli Enti interessati.

La mia esperienza trascorsa nel passato in un comitato di quartiere, suggerisce che per essere efficaci nelle segnalazioni e ottenere attenzione occorre:
  1. Verificare quanto segnalato
  2. Evidenziare il disagio sopportato dalla collettività
  3. Proporre un possibile intervento per risolvere il problema
  4. A seconda dell'importanza della segnalazione:
  5. far intervenire un Consigliere del Partito
  6. o l' intervento di un membro dell'equipe presso gli uffici interessati

Gli ultimi due passaggi sono importanti e direttamente proporzionali all'ottenimento di un risultato a seconda della efficacia e dell'insistenza con la quale vengono effettuati.

Non è raro infatti dover intervenire più volte presso i vari uffici per sollecitare la pratica.

Ecco quanto propongo: cosa ne pensate?

venerdì 9 luglio 2010

Turismo e cultura

Dopo un articolo pubblicato da Claudio Porchia (clicca qui) e dopo una risposta da parte di Di Meco (qui), partecipo anche io a questo dibattito piuttosto interessante

Leggo con vero piacere che anche il nostro assessore al turismo comprende l'importanza delle risorse culturali nel contesto turistico. Molto lodevole e rassicurante la sua posizione rispetto alle dichiarazioni fatte dal sindaco, in occasione dell'incontro con Burlando, in cui si prospetta Sanremo come una citta non a carattere culturale. Ci sono molte riflessioni da fare in proposito. Una prima riflessione è che la cultura è un patrimonio al di fuori delle strumentalizzazioni politiche e, in questo senso, "caratterizza" ogni luogo della terra. Riconoscere le particolarità culturali del proprio territorio, valorizzarle e approfondirle, rappresenta già di per sè una conquista. Se poi le amministrazioni locali hanno la capacità di creare una programmazione turistica partendo da queste risorse , allora è un bingo perchè a quel punto l'offerta turistica diventa qualcosa di originale e unico.
La mia impressione è che questo lavoro non si stia facendo, anzi mi sembra che le poche iniziative siano scollegate da una programmazione mirata e concreta. L'idea che ho è quella che si stia procedendo a tentoni e che manchino i presupposti ideologici per poterlo fare. Dopo un periodo di programmazioni turistiche caratterizzate non solo da quantità ma anche da qualità, curate da un professionista, Pepi Morgia, che sapeva dare un tratto di unitarietà e di collegamento alle proposte, ora mi sembra invece che sia iniziato un periodo di trascuratezza e di "lasciamo al caso" oppure "lasciamo al buon senso dell'assessore". Capisco che anche per Di Meco lavorare in questo modo sia difficoltoso.
A questo punto viene spontaneo parlare di risorse economiche e, per non ricadere nelle squallide polemiche che hanno portato alla caduta di Borea, è forse più giusto parlare di "patto di stabilità": uno strumento contorto che toglie ai comuni la possibilità di gestire le proprie risorse in modo sereno. Questo patto di stabilità è voluto dallo scieramento politico che gli attuali amministratori di Sanremo appoggiano e di cui fanno parte....
Quindi, è un fallimento politico di programmazione a livello nazionale? E' una divergenza di idee fra sindaco e assessore al turismo sull'argomento cultura? O, più semplicemente e ad un livello generale, non siete in grado di governare la città?
In certi casi può essere dimostrazione di buon senso, responsabilità ed eleganza, fare un passo indietro e lasciare il posto a chi ha dimostrato di avere capacità nell'amministrare la cosa pubblica

domenica 4 luglio 2010

Ambiguità leghiste

Dopo il ripetersi sempre più frequente di episodi di criminalità che farebbero pensare all'invasione del racket a Sanremo e in provincia, si vede una strana e singolare reazione da parte dell'attuale amministrazione. Sembra stupita e indignata come se non fosse lei al governo e come se non fosse stata eletta proprio sull'onda del tema sicurezza. Addirittura la Lega gira per la Pigna raccogliendo firme per avere un presidio di polizia stabile. E dire che c'è un certo ministro Maroni che guida il ministero dell'Interno. La Lega protesta contro se stessa o vuole vendere due volte la stessa merce prima e dopo le elezioni?
Cosa ne pensate?