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sabato 2 ottobre 2010

SISTEMA COSTITUZIONALE E GOVERNO “ELETTO”

Vi propongo una riflessione su una questione di attualità che non mi pare sufficientemente approfondita dai partiti di opposizione

        Il messaggio forse più efficace di cui si è giovato Silvio Berlusconi per riuscire ad imporsi sulla scena politica italiana e ad affermarvi la sua ‘leadership’ è quello enunciato dallo slogan declamato ad oltranza per cui la scelta del partito o della coalizione di partiti designati a governare, e quindi anche la scelta del capo del governo, è rimessa alla volontà del popolo quale si manifesta attraverso l’espressione del voto è non può essere invece il risultato di intese e confluenze successive fra le forze politiche rappresentate in parlamento. Gli elettori devono sapere ‘prima’ come si muoveranno i partiti ‘dopo’ il voto e chi, in esito al voto, sarà chiamato a guidare il governo. La conseguenza implicita di questa impostazione è la doverosa immutabilità delle posizioni delle diverse forze politiche e del rapporto fra maggioranza e opposizione per tutto il corso della legislatura, per modo che ogni eventuale variazione di tali posizioni e di tale rapporto si configurerebbe come un tradimento della volontà degli elettori e comporterebbe inevitabilmente l’immediato ritorno alle urne.
       Ulteriore argomento a sostegno di questa tesi è l’enfatizzata esigenza della cosiddetta governabilità per cui si giustificherebbe   avvalorandola anche la legge elettorale vigente che assegna al partito o alla coalizione vincente, pur con scarso margine, un cospicuo e determinante ‘premio di maggioranza’. Peraltro, quanto poco questa legge sia producente ai fini di un tale obiettivo è dimostrato dalle vicende delle due legislature per cui essa ha trovato applicazione: quella iniziata nel 2006 e dissoltasi dopo meno di due anni e quella in corso, secondo ogni ragionevole previsione destinata a chiudersi in tempi brevi.    
      Va detto subito che il messaggio che Berlusconi ha cercato di  imporre all’opinione pubblica ottenendo che questo sia stato talora inconsapevolmente recepito anche dalla parte meno avvertita del fronte avversario, contrasta con l’impianto generale della nostra Costituzione e con il suo preciso dettato, in particolare sui poteri del parlamento e del capo dello Stato e sull’assenza di vincolo di mandato per i parlamentari eletti. La distinzione che si è tentato pretestuosamente di avallare fra una costituzione formale e una costituzione materiale o di fatto non ha senso sul piano giuridico.
       Ma va altresì chiarito una volta per tutte che l’assunto berlusconiano contrasta anche con ogni forma di moderna democrazia, quale si caratterizza idealmente e inevitabilmente    come indiretta e rappresentativa. Facciamo degli esempi.
       In Gran Bretagna è del tutto normale che dopo il voto, in base al risultato delle elezioni, partiti che si erano presentati contrapposti si accordino per formare il governo designando il primo ministro. L’esempio recente è quello del gruppo liberale guidato da Peter Clegg, alleatosi con i conservatori di Cameron dopo l’esito negativo del negoziato inizialmente intrapreso con i laburisti. Altrettanto normale risulta il cambiamento del premier in corso di legislatura: è avvenuto con John Major subentrato alla Thatcher e poi con Gordon Brown subentrato a Blair.  
       In Germania la situazione è ancora più evidente. I partiti si confrontano dopo il voto per formare la maggioranza chiamata ad esprimere il nuovo governo e a tal fine ora i liberali ora i verdi risultano determinanti in un senso o nell’altro. Addirittura si verifica che i due maggiori partiti contrapposti alle elezioni si accordino dopo il voto per governare assieme: è avvenuto con il governo di Willy Brandt nel 1966 e con quello attuale di Angela Merkel. Frequenti anche i cambi in corsa del primo ministro (come da Brandt a Schmidt e da questi a Kohl).
        In altri paesi, come in Francia e negli Stati Uniti, può anche accadere che la volontà popolare si manifesti in modo opposto nelle elezioni presidenziali e in quelle parlamentari. In Francia si può così determinare una situazione di “coabitazione” fra presidente e primo ministro appartenenti a partiti avversari: a chi di essi andrebbe riferita in tal caso la volontà popolare? La ‘governabilità’ non sembrerebbe costituire una preoccupazione prioritaria per i francesi. Rilevanti in Francia sono poi le alleanze variabili che inevitabilmente si producono dopo il primo turno di votazioni in vista del  successivo voto di ballottaggio.   
      Quanto agli Stati Uniti, risulta pratica abituale e consolidata che il presidente si trovi a dover negoziare con i diversi gruppi al congresso e al senato, e spesso anche con singoli parlamentari del proprio o dell’opposto schieramento, l’appoggio per ciascun   progetto o provvedimento legislativo di maggiore rilievo da lui promosso, poiché ogni membro del parlamento rivendica il diritto-dovere di muoversi in piena indipendenza, senza vincolo di mandato e senza riguardo ad eventuali posizioni dichiarate del partito per cui è stato eletto, sì che le decisioni finali vengono a dipendere da intese e convergenze intervenute nella sede parlamentare. Sono ben note le difficoltà incontrate dall’attuale presidente Obama per ottenere l’approvazione, anche a prezzo di sostanziali modifiche, di quella riforma sanitaria su cui aveva fortemente basato il suo programma elettorale. Ma ciò viene considerato un aspetto fisiologico della democrazia basata sul principio di divisione dei poteri e nessuno formula per questo denunzie di ‘inciuci’ o tradimenti.
        In sostanza, in nessun sistema democratico il principio che il parlamento e ogni singolo membro di esso, una volta eletto, possa muoversi in piena libertà e indipendenza dall’esecutivo, ricercando le maggioranze possibili ed eventualmente anche diversificate in base alle diverse questioni e alle varie circostanze che si vengono a determinare nel corso della legislatura, viene oggi messo in discussione. Tanto meno, quindi, l’applicazione di tale principio dovrebbe fare scandalo in un paese che, come il nostro, intende porsi ai primi posti fra le democrazie occidentali.
Ugo Genesio

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