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sabato 6 novembre 2010

IMMUNITA' PARLAMENTARE E AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE

  

Affermazione diffusa nell’attuale dibattito politico è quella secondo cui la nostra Costituzione, nel suo testo originario, aveva attribuito ai membri del Parlamento un’immunità dalla giurisdizione penale, garanzia venuta meno con la revisione del testo costituzionale nel 1993, sotto la pressione di tangentopoli, con l’effetto di alterare a vantaggio del potere giudiziario l’equilibrio a suo tempo stabilito dai costituenti: donde l’esigenza di tornare al disegno originario attraverso il ripristino dell’istituto dell’immunità parlamentare per il corretto funzionamento del nostro sistema politico nello spirito della Costituzione.
       Conviene chiarire che tale affermazione, recepita purtroppo acriticamente da gran parte dell’opinione pubblica, è del tutto infondata basandosi su una non corretta rappresentazione della norma costituzionale. Sta di fatto che la cosiddetta immunità parlamentare, intesa come un’esenzione dei membri del Parlamento dalla giurisdizione penale nel corso del loro mandato, non è mai esistita nel nostro ordinamento costituzionale.
       L’art.68 della Costituzione nel suo testo originario stabiliva che i parlamentari non potessero essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni: e questa norma fondamentale di garanzia non è stata toccata e neppure mai messa in discussione. Quanto alla generica responsabilità penale, invece, si prevedeva che “senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale”: quindi solo l’esigenza di un’autorizzazione a procedere, che certo è cosa ben diversa dall’immunità penale. E questa norma è venuta a cadere nel 1993, restando ferma peraltro la necessità dell’autorizzazione per l’arresto e le perquisizioni personali o domiciliari nei confronti di parlamentari (salva la flagranza per reati di particolare gravità). 
      La revisione della norma costituzionale sull’autorizzazione a procedere si rese inevitabile sotto la pressione dell’opinione pubblica in conseguenza del generalizzato e universalmente riconosciuto abuso di tale strumento di garanzia da parte delle Camere con il rifiuto sistematico dell’autorizzazione anche in casi di particolare gravità, senza alcuna seria verifica della concreta sussistenza di un ‘fumus persecutionis’: sì che di fatto la garanzia procedimentale si era venuta trasformando nella prassi parlamentare in una inammissibile forma di immunità, contrastante con la dichiarata intenzione dei costituenti e con lo specifico dettato costituzionale.
      Esemplare fu la vicenda INGIC, che vedeva coinvolti assieme esponenti dei partiti di maggioranza e di opposizione, per cui l’autorizzazione a procedere fu negata in base ad argomentazioni smaccatamente pretestuose (“…gli uomini politici non chiesero, ma furono richiesti dai dirigenti dell’INGIC di accettare delle sovvenzioni per i loro partiti … essendo altresì pacifico che tutti gli uomini politici imputati – nessuno escluso – non profittarono personalmente di alcuna delle somme ricevute, che furono da essi versate ai rispettivi partiti o per spese elettorali, o per beneficenza o per opere assistenziali ” – Relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere presentata alla Camera il 9 ottobre 1961).
       L’esigenza di modifica dell’istituto, a lungo rinviata sul tacito accordo di tutte le parti politiche, si prospettò con tanta maggior forza dietro la spinta dei fatti di tangentopoli e portò alla riforma attuata con la legge costituzionale del 1993. Tale legge fu approvata dal Parlamento quasi all’unanimità (con due soli voti contrari), essendosi finalmente riconosciuto da tutti i partiti l’abuso sistematico della norma di garanzia perpetrato attraverso i decenni. In particolare il MSI e la Lega se ne fecero i sostenitori più decisi,  insistendo anzi per la totale eliminazione dell’istituto, anche con riferimento all’arresto e alle perquisizioni.
       Le ragioni che motivarono allora la decisione del Parlamento appaiono tuttora valide, specie nell’attuale momento politico caratterizzato da forti contrapposizioni con maggioranze parlamentari “militarizzate” potenzialmente disponibili,  all’occorrenza, anche per decisioni discriminatorie. E comunque, l’ipotizzato ripristino della autorizzazione a procedere come strumento atto a meglio equilibrare il rapporto fra potere politico e potere giudiziario implicherebbe un ulteriore ricorso alla procedura di revisione costituzionale e sarebbe da inserire in un quadro complessivo di riforme istituzionali con il consenso parlamentare più ampio, tale da consentire il raggiungimento della maggioranza di due terzi necessaria per evitare quel referendum che, secondo l’attuale orientamento dell’opinione pubblica, darebbe un esito presumibilmente negativo.
       Peraltro, per rispettare la lettera e lo spirito della Costituzione nella linea dei padri costituenti, l’istituto dell’autorizzazione a procedere potrebbe essere utilmente recuperato solo con l’introduzione di correttivi atti ad evitare il ripetersi degli abusi del passato. La previsione di un possibile ricorso alla Corte costituzionale da parte della magistratura richiedente contro l’immotivato rifiuto opposto alla richiesta di autorizzazione, nella forma del conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, potrebbe essere un correttivo valido.
Ugo Genesio
                                                                     
                                                                                     

martedì 2 novembre 2010

AMA L'AMBIENTE

momento politico

Evoluzione della politica

Viviamo certamente un momento politico estremamente delicato,  ed anche sotto certi aspetti pericoloso per i colpi di coda che possono venire dal caimano (mi scusino i caimani veri per l’accostamento negativo) e suo branco, ma per contro pieno di novità potenzialmente positive che sta però a noi accompagnare con molta prudente razionalità ma senza tentennamenti sul percorso giusto.
Non voglio perdere tempo ad analizzare lo stato del nostro Paese nel suo decadimento culturale, etico, economico e soprattutto impregnato di uno scetticismo morale a mio avviso mai raggiunto prima, il tutto a causa del berlusconismo imperante che ha colpito tutti i gangli della società, in particolare accentuando uno sciocco egoismo di coloro che non si rendono conto che anche chi si ritiene  sano se immerso in un  corpo ammalato si contamina inevitabilmente.
Ma qual è la novità.
E’ l’esasperazione progressiva delle persone di quasi tutte le classi sociali ed economiche e delle più diverse e spesso antagonistiche convinzioni politiche, che  nelle loro componenti più razionali  si rendono conto di trovarsi in una situazione insostenibile e che quindi stanno, anche se lentamente ribellandosi e reagendo.
Si escludano naturalmente coloro che esercitano oggi un potere omogeneo alla filosofia bersusconiana, ergo i furbi spregiudicati che tenteranno di tutto per mantenerlo nonché e quella massa di sottoproletariato sempre in vendita al migliore offerente,  “francia o spagna purchè se magna” . 
            Novità molto difficile da utilizzare ma comunque reale.
A questo punto dobbiamo darci veramente un compito molto preciso e prioritario dal quale non deviare, quello di avviare con molta tenacia una serie di azioni “ di demolizione e ricostruzione” della nostra società nazionale a prova di “furbi”  e ciò si può ottenere solo costruendo “ nuove” regole moderne che abbiano si dei precisi obbiettivi eticamente congruenti con i bisogni reali dei cittadini ma che non riportino in auge meccanismi stantii e superati dall’evoluzione mondiale.
            Moltissimi degli obbiettivi  “ demagogicamente cavalcati solo a suon di proclami dal berlusconismo, sono condivisibili ma devono diventare risultati seri, efficienti, efficaci ed  economicamente validi , condotti da persone capaci ed oneste  si da poter essere proficuamente utilizzati da tutti gli  italiani.
            Ciò si potrà ottenere solamente mettendo da parte i criteri partitocratrici di appartenenza e sostituendoli con criteri veramente politici condivisi di meritocrazia e indiscutibile competenza .
            Per almeno i prossimi 10 anni in questo Bel Paese , per salvarlo, si dovrà parlare tutti assieme un linguaggio comune , al di sopra delle definizioni stantie di destra, sinistra, centro ecc. per spianare  la strada del progresso con un coraggioso comportamento di ferma e puntuale responsabilità legislativa e gestionale , comunque e sempre correttamente democratica.
Per tutti
            Silver Leonardo