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venerdì 15 aprile 2011

MARONI E QUELLA "STRANA COSA" CHIAMATA EUROPA


A CHE SERVE L'EUROPA? 


     “A che serve l’Europa?” si chiede Maroni. Sfugge totalmente al ministro che grazie all’Europa, o meglio grazie all’integrazione europea, i cittadini italiani (come gli spagnoli, i portoghesi, i greci, gli irlandesi) sono usciti in un paio di decenni da uno stato di dignitosa povertà per allineare il loro tenore di vita e i loro consumi a quelli dei paesi economicamente più avanzati. Dimentica poi il ministro il dato fondamentale della pace goduta da sessant’anni in qua, e si spera ormai per sempre, da un gruppo di paesi che per secoli si erano dilaniati in guerre distruttive alimentate da odii nazionalistici che sembravano inestinguibili.

      Poi Maroni chiarisce meglio il suo pensiero: non sono le istituzioni europee ad aver respinto le nostre richieste sulla (pretesa) emergenza umanitaria, ma i rappresentanti dei governi. E di fatto la posizione italiana è stata bocciata  dai ministri degli interni dell’UE riuniti a Lussemburgo. 

     A questo punto conviene rifare un po’ la storia della linea politica dell’Italia rispetto al processo di integrazione europea. Fino agli anni novanta i governi italiani si sono coerentemente distinti per un forte impegno europeistico, volto a conferire alle istituzioni europee poteri sempre più ampi, secondo la visione ideale dei fondatori, orientata ad una struttura sovranazionale come base di una futura unificazione politica. Questa linea, che assicurava al nostro paese un ruolo di primo piano nell’edificazione della nuova Europa anche rispetto a Stati politicamente più forti come la Germania, la Francia e il Regno Unito, fu portata avanti con decisione anche dai governi di centrosinistra sino al 2001. 

     Ma a partire da quel momento, con il governo Berlusconi la linea cambia decisamente, in particolare dietro la spinta della Lega Nord, nella direzione di un ridimensionamento del ruolo dei “burocrati di Bruxelles” con conseguente recupero di potere in capo ai governi, in vista di una maggiore indipendenza e di una più accentuata difesa degli interessi nazionali. In questo il nostro governo va ad allinearsi con le tendenze euroscettiche che affiorano in altri paesi e che in qualche misura finiscono per incidere sulla posizione di altri governi europei. La nomina di Barroso al posto di Prodi alla presidenza della Commissione va colta anche nella prospettiva di uno svuotamento del ruolo politico delle istituzioni europee a fronte del più ampio potere decisionale riservato alle sedi intergovernative (consiglio europeo, consigli ministeriali).  

     La prima conseguenza di questa inversione del processo di unificazione europea viene ad essere, con l’indebolimento della struttura istituzionale, il peso preponderante che in decisioni cruciali che ci riguardano vengono ad assumere i governi dei paesi politicamente più forti, non solo la Germania e la Francia, ma anche la Gran Bretagna e la Spagna e forse persino la Polonia, che oggi in Europa contano più di noi. E’ qui la ragione dell’isolamento di cui oggi paghiamo e continueremo a pagare in futuro il prezzo elevato. Ma che serve lamentarsi ora se a produrre questo risultato abbiamo contribuito con la nostra miopia politica? L’Europa non è un’entità astratta ed estranea, ma è quello che noi stessi concorriamo a farci. 
Ugo Genesio

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